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domenica 21 febbraio 2010

Quei poveri soldat spariti nel nulla di una guerra triste


Quei poveri soldati spariti nel nulla di una guerra triste
Alto Adige — 20 febbraio 2010 pagina 35 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

È la storia di una guerra che le bombe non le fa scoppiare nella neve, ma nella testa e le ferite non straziano il corpo, ma l’anima e poi la vita. “Ufficialmente dispersi” è il romanzo del giornalista Pier Vittorio Buffa che trae spunto dall’apertura degli archivi storici sovietici che, come moderno vaso di Pandora, ha scoperchiato parte della triste realtà di quattordici soldati di un plotone italiano dispersi nella Russia della seconda Guerra mondiale. Un plotone comandato da un Sottotenente. “Ufficialmente dispersi” non lascia tanto spazio ai giochi narrativi, ma scorre attraverso vivide fattualità: una scelta precisa o una conseguenza della sua professione? «Alla base del libro c’è un lavoro profondo di ricerca e analisi storica di quello che è stato rivelato dalla consegna degli archivi del Kgb che ha influenzato anche la narrazione. Non le nascondo, però, che l’abitudine a scrivere con uno stile fortemente ancorato alla realtà fattuale concreta tipico del giornalismo si è fatta sentire. Un libro di guerra dove la guerra, a dirla tutta, dura solo poche pagine. Sì, è vero, ma permea comunque tutto il romanzo con quel continuo pungere del senso di responsabilità di un Sottotenente che non è in grado di spiegare che fine abbia fatto il suo plotone e quale sia stato il destino dei suoi ragazzi. Ho cercato di capire quale tipo di solco potesse aprire l’esperienza di dare e ricevere soltanto morte all’età di 22 anni. Oggi, a quell’età, il massimo della tensione è esordire in Champions League. Si diventava uomini presto e a 24 anni si era veterani. L’incipit del libro si apre con un elogio di una patata quale simbolo di vitalità e di presenza durante la guerra. Un rapporto con il cibo che oggi non c’è più? Il mangiare era l’appiglio alla vita stessa. Pensiamo a un pranzo famigliare di oggi: i nipoti lasciano nel piatto qualche briciola o degli avanzi, il nonno che ha combattuto difficilmente farà come loro. E’ cambiato il valore che diamo al cibo che è figlio delle esperienze personali e della storia. Gli “Ufficialmente dispersi” sono quattordici: qualcuno di loro le è rimasto particolarmente nel cuore? Ce n’è uno che è stato la molla che mi ha portato alla scrittura del libro. E’ il papà del bambino nato in aprile che dai documenti risultava morto nel febbraio 1943, ma che in realtà è deceduto nel 1945: nel mezzo due anni di “non vita” che mi hanno stimolato ad approfondire queste storie. Il Sottotenente non è un credente, eppure va a messa. La sua vita è ritmata da flash sui suoi ragazzi che lo estraniano dalla vita quotidiana e che lo portano, una volta conosciuto il destino del plotone, a scrivere alle famiglie. Che uomo è? Un uomo segnato dall’evento, per cui esiste una vita velata prima e dopo la guerra e la sconvolgente realtà del periodo bellico. Un uomo solcato dal senso di responsabilità tradito che cerca di recuperare inviando missive esplicative ai familiari di chi non è riuscito a riportare a casa. Un uomo, come tanti, che nel momento in cui non c’è più nulla a cui aggrapparsi cerca a tentoni la fede come ultimo appiglio. Un uomo che cerca di riabilitarsi in un percorso che non riesce mai ad essere effettivamente compiuto. I flash di cui è vittima sono una costante del romanzo e li ho immaginati esattamente come una prova tangibile dell’invasione della guerra nella vita reale: non se n’è mai andata dalla testa del Sottotenente. Qualcuno l’ha paragonata a Mario Rigoni Stern... Per carità, lui è sicuramente di un altro livello. Rigoni Stern mi ha fatto l’onore di leggere il mio romanzo e di approvarlo, salvo una correzione. In una pagina feci saltare un carro armato con le bombe degli Alpini del Monte Cervino e lui mi disse: “Con quelle ci davamo la sveglia al mattino, non sarebbero mai state in grado di far saltare un carro armato”. L’ho subito cancellato e corretto». - Alan Conti

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