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mercoledì 3 marzo 2010

Bolzano è casa nostra


Alto Adige — 02 marzo 2010 pagina 17 sezione: CRONACA

BOLZANO. Don Bosco e Bolzano sono anche la casa degli italiani. Nei bar, nei tabacchini e per le strade del quartiere più popolare della città la ricerca che il nostro giornale ha affidato al sociologo Luca Fazzi è sulla bocca di tutti. Opinioni contrastanti, ma solo su una questione si trova un fronte compatto: malgrado tutto, i residenti si sentono a casa. Luca Delisi è il primo a prendere posizione: «Sono arrivato da Palermo 35 anni fa e non vedo come non possa sentirmi a casa. Il disagio non è italiano, semmai bisogna prestare attenzione ad altri dati, come quello relativo alla microcriminalità giovanile, se non vogliamo che l’isola felice svanisca del tutto. Non denigrerei, infine, le classifiche del “Sole 24 ore” o “Italia Oggi” che, comunque, rendono onore alla città». Il 31% dei minori in difficoltà abita a Don Bosco, di cui il 63,7% arriva da famiglie autoctone: se ci sono giovani bolzanini a disagio, facile che si trovino in questo quartiere. «Purtroppo - puntualizza Santina Costa - è una realtà problematica. Credo che il nodo sia educativo e la progressiva debolezza del concetto di famiglia incide parecchio». Giovani come Arianna Tiozzo che conferma: «Uscire alla sera col cane non è sempre un’attività tranquilla. Non sono d’accordo, comunque, con chi dice che i giovani non si sentano a casa qui a Bolzano: è vero, mancano locali e punti di ritrovo, ma questa è anche la nostra città». I dati, però, rimangono e raccontano di un 20% di italiani a disagio, soprattutto tra i giovani e nel quartiere. Paolo Costa, però, guarda allo sviluppo edilizio del quartiere: «Forse portare così tante famiglie è stato un azzardo. I ragazzini? Spesso sgarbati». Amabile Passadore, invece, considera il dato che vuole l’8,8% degli abitanti con un reddito insufficiente: «Si tratta di una criticità evidente. I tanti inquilini Ipes sono testimonianza di redditi non elevati e la crisi, ovviamente, fa la sua parte». Marina Bianchi è scettica: «Un’analisi che non mi rispecchia. Io mi sento a casa e ho un figlio quattordicenne che si trova bene con tutti: i genitori devono essere molto presenti». Gianfranco Vignozzi fornisce un’interpretazione storica: «Gruber, alla firma del trattato, disse che ci eravamo presi una bella rogna. Aveva ragione: l’italianizzazione forzata non ha fatto bene, ma la stessa chiusura del mondo tedesco, dove i giovani parlano poco la nostra lingua, non facilita. Non solo, tra scuole separate e scambi difficili è arduo trovare momenti di aggregazione. Rimaniamo, invece, ancorati al falso problema dei relitti fascisti dove, in realtà, basterebbe cancellare una scritta». I monumenti fascisti, dunque, non interessano e qui i dati della ricerca di Fazzi sono confermati. Tullia Rosanelli è drastica: «A Don Bosco si sta bene, io mi sento a casa mia». Ivano Moltrer, invece, interpreta il dato: «Non penso che sia un questione di lingua o di luogo, ma alquanto soggettiva. Può succedere qui, come in altri quartieri e lo stesso vale per i giovani, dove il discorso va ampliato all’aspetto sociale e familiare in cui sono inseriti. Lo sviluppo edilizio del quartiere, invece, è discutibile ma attenzione a descrivere Don Bosco come una periferia degradata perché quelle sono realtà che troviamo a Roma, Milano o Torino, non certo a Bolzano». Manuela De Bortoli, titolare del tabacchino “da Manuel e Daniel” in via Bari conferma: «Il problema non è del quartiere, ma squisitamente legato alla densità abitativa». Chiude la rassegna Nicola Commisso: «Parlare di disagio italiano mi sembra esagerato, a Bolzano si sta bene. I giovani, invece, vanno aiutati e non si può buttare sempre la croce addosso alla scuola o ai genitori che, il più delle volte, devono lavorare entrambi. Verissimo, invece, che la questione dei relitti fascisti è affare che interessa soprattutto la politica e lontano dalla gente». © RIPRODUZIONE RISERVATA - Alan Conti

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