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martedì 28 settembre 2010

Perchè Il Merano è sempre il Merano


E’ il rumore dello zoccolo che fa la differenza. Perché alla fine è quello che spinge i tanti, tantissimi appassionati del Gran Premio di Merano a salire i gradini infermi di tribune da sistemare da anni e, chi col binocolo chi senza ausilio alcuno, sedersi per respirare un’atmosfera che si ripete da tempo, in parte intatta nella sua magia. Non è la scommessa economica ad attirare, perché, diciamocelo chiaramente, al totalizzatore è difficilissimo uscirne ricchi, facile uscirne in pari, soddisfacente uscirne con un pacchetto di tagliatelle allo speck di vittoria come il sottoscritto. Non è l’abitudine perché Maia di certo non registra 9.000 presenze ad ogni weekend sospinto e non è nemmeno la convenienza dell’ingresso che a 15 euro, francamente, richiede un certo grado di passione. Ecco, è la passione per sentire lo zoccolo che taglia l’erba in retta d’arrivo e il sentire il respiro sospeso di migliaia di persone che, seppur nel brusio, dentro sanno che la frazione di secondo in cui il vincitore passerà sotto l’elegante ferro di cavallo stilizzato del traguardo sarà comunque un momento, nel suo piccolo, storico.
E’ andata così anche quest’anno, spruzzato da una brezza tagliente, quando quel signore equino che di nome fa Rigoureux ha deciso che era giunto il momento di infilare il proprio ritratto dopo il doppio scatto di Sharstar nel salone d’onore dell’ippodromo, andando a trionfare con circa dodici, e dico dodici, lunghezze su un sorprendente secondo Budapest. Piazza d’onore per Oh Calin che suona bene anche come ipotetica affermazione di chi ha scommesso qualche euro sul suo piazzamento a sorpresa. Bisogna ammettere, comunque, che parte dell’attenzione di questo Gran Premio se l’è mangiata l’ostacolo che sulla diagonale ha beffardamente deciso di dimezzare una truppa già scarna di suo per le abitudini del Forst. Dei dodici partenti, infatti, all’arrivo ne ha arrivata la metà e un terzo ha capitombolato dietro la scivolata di Alpha Speed, sgambetto insormontabile anche per altri due attesi protagonisti come Alarm Call e il portacolori meranese e italiano Kandinsky. Spazziamo il campo dai dubbi, però: Rigoureux questo settantunesimo alloro se lo sarebbe portato in scuderia lo stesso considerando la sua gara. Retrovia fino ai 4.000 e poi posizioni a scalare fino all’accelerazioni finale, autentica sciabolata che ha spaccato in due il Merano per sigillare le 13 vittorie su 13 corse nel ruolino della stagione di questo splendido francese. Il Merano, signori, si corre così e gran parte del merito va allo sbarbatello Reveley, jockey di 21 anni, che con il viso da bambino era più emozionato che mai dopo il traguardo. La stessa esultanza del ragazzo sul finale di corsa ha tutto il sapore dell’intima soddisfazione di una carriera agli albori, con un pugno chiuso teneramente lontano dalle plateali alzate di braccia di chi assaggia staffe da qualche anno in più. Sapeva di avere una fuoriserie, di certo non immaginava che sarebbe stato così facile.
Resta così, anche quest’anno, il sapore della storia che resiste alla mancanza della partnership con la Lotteria Italia e alle acque difficili in cui naviga l’ippica italiana da anni. Resta una grande festa con tutto il corollario, più commerciale che altro, di bancarelle, macchine sportive, balli e quant’altro. Resta, soprattutto, quel rumore di zoccoli sull’erba che per il Gran Premio, parrà strano, non è mai uguale alle altre corse. Resta così un Merano che, più di Sanremo, è sempre il Merano.
Alan Conti

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