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giovedì 25 agosto 2011

Piazza Erbe: che ci fanno i finferli bulgari?


Commerciare solo prodotti locali costa e non sempre garantisce un ritorno adeguato. Il vicesindaco Klaus Ladinser, in vista di una progressiva revisione del regolamento del mercato, ha invitato i nuovi commercianti pachistani ad abbracciare maggiormente il prodotto locale, ma la “tirolesizzazione” forzata viene accolta in piazza con una buona dose di scetticismo. Il prodotto “Alto Adige”, infatti, comporta dei costi più elevati, quindi alzerebbe complessivamente i prezzi mettendo piazza Erbe in una condizione di svantaggio sensibile rispetto alla grande distribuzione. Non solo, scegliere la via del prodotto locale infilerebbe i pachistani in diretta concorrenza con gli storici proprietari altoatesini dei banchetti senza, però, averne la stessa esperienza. Anche chi ci ha provato, inoltre, non mette la mano sul fuoco su un sistema che salvaguarda sì la tradizione, ma non sempre viene incontro alle esigenze di clienti attenti soprattutto al rapporto tra qualità e prezzo. Apre uno spiraglio nella lunga querelle tra banchi e bar, invece, la proposta avanzata dal vice direttore dell’Azienda di Soggiorno Dado Duzzi di installare casette mobili. Il problema, però rimane il costo complessivo dell’operazione.
Mohammad Saeed e Shahid Javaid sono tra i primi pachistani approdati in piazza Erbe. "Abbiamo subito scelto di operare nell’ortofrutta nel solco di quella che è la tradizione storica di questo mercato. Bene, rispetto a nove anni fa la situazione è radicalmente cambiata e il lavoro è calato tantissimo. Proporre prodotti altoatesini ha certamente una serie di vantaggi promozionali, ma nel concreto i clienti cercano in larghissima maggioranza un buon rapporto qualità/prezzo e quando lo trovano, lo acquistano indipendentemente dall’origine. La frutta secca? Fa parte della cultura pachistana ed è permessa, normale che molti connazionali scelgano questo settore. Quando fa caldo, però, comporta un crollo delle vendite". Via di mezzo per Anil Kumar, titolare di un banco che propone frutta e verdura nostrana assieme al tanto chiacchierato prodotto essiccato. "Il prodotto altoatesino generalmente vende di più, ma attenzione ad assicurare che sia sempre di qualità migliore perché talvolta può anche essere scadente". Il sentore, però, è che si voglia semplicemente salvare la facciata perché se il mango secco fa storcere immediatamente la bocca ai tradizionalisti, assai meno discusso è l’impatto visivo, per esempio, dei finferli freschi bulgari. "Eppure la sostanza è la stessa – spiega Irma Gamper che, affittando il proprio storico banco ad Amer Raza, ha messo in piedi la prima e finora unica collaborazione stretta tra altoatesini e pachistani – quindi bisogna pensare a interventi di sistema. Siamo i primi che cerchiamo il prodotto nostrano, però ammettiamo che comporta dei costi elevati all’interno di un sistema che ormai ha fatto della concorrenza spietata una pratica quotidiana. C’è chi scrive i pezzi in modo volontariamente ambiguo in cui i 5 si confondono con lo 0 oppure fornitori e consorzi che cercando di venderti cassette con in cima prodotti stupendi e sotto sgradite sorprese. E’ necessario affiancare gli stranieri nell’indirizzare al meglio la loro professionalità. Prima delle crociate per il prodotto locale, quindi, sarebbe più pertinente richiedere la massima attenzione alla qualità perché è quello il vero elemento determinante nel far sopravvivere bene le nostre attività e, di conseguenza, il mercato di piazza Erbe". Non può mancare, però, una riflessione sul difficile rapporto con il volto notturno della zona. "Ci vuole una stretta – conclude Gamper – con un pattugliamento costate delle forze dell’ordine e la scrittura di regole ferree. La proposta di installare banchi mobili come nell’omonima piazza di Verona è destinata a restare lettera morta perché non vedo chi possa accollarsi la spesa del loro acquisto". Difficile lo faccia il Comune, impossibile imporlo ai titolari dei banchi "però per noi bar sarebbe la soluzione perfetta" interviene Boogy Kubasik dal bancone del bar Margit. "La nostra intenzione è di migliorare sempre più il rapporto con chi lavora al mercato e la possibilità di rimuovere il banco potrebbe essere un vantaggio sia per noi sia per loro. Nessuno di noi, comunque, si augura un ridimensionamento del mercato perché la piazza vuota diventerebbe molto triste, quindi sugli sviluppi futuri sarebbe meglio chiedere a chi nelle bancarelle lavora ogni giorno". Una constatazione che sembra tanto un consiglio per chi scriverà il prossimo regolamento.
Alan Conti

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