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martedì 3 gennaio 2012

Quando Bocca arrestò Mitolo fascista


La marcia imposta a Mitolo e Del Piccolo il 30/7/'70

BOLZANO. Erano gli anni in cui la storia aveva disegnato un confine politico e sociale sull’Italia, di qua rossa di là nera. Nessun intermedio o mixed zone: ciascuno scelga il proprio campo. Andrea Mitolo e Giorgio Bocca, come la storia insegna, optano per due scelte contrapposte e il destino si diverte, beffardo, a metterli uno contro l’altro in due tempi. Primo atto nel 1945, secondo dopo il 30 luglio 1970 e la celebre marcia di vergogna imposta dagli operai della Ignis di Spino di Gardolo a Gastone Del Piccolo e lo stesso Mitolo. La storia è nota: durante un’assemblea sindacale interna alla Ignis viene imposta dal proprietario “Cumenda” Borghi la presenza di rappresentanti del sindacato di destra Cisnal. Del Piccolo si presenta con un’accetta preventiva, ma dall’altra trova operai ben poco disposti ad accettare ospiti neofascisti: ne nasce un pestaggio, scoppiano due bombe carta e spuntano pugni di ferro e coltelli. Tre feriti con le lame, di cui uno in un primo tempo definito in rischio di vita, accendono la sete di vendetta rossa con gli operai che circondano Del Piccolo e Mitolo, allora consigliere regionale Msi giunto sul posto, e li costringono a un corteo forzato da Spini di Gardolo fino a Trento. Sono sette chilometri di sputi, insulti e un cartello appeso al collo riportante la dicitura “Siamo fascisti, abbiamo accoltellato tre operai. E’ questa la nostra politica pro-operaia”. Le forze dell’ordine guardano e non intervengono nel tentativo di ridimensionare la rissa. E’ l’alba degli estremismi e dei terrorismi, basta una scintilla per un falò: il 30 luglio diventa data simbolo e scatta il processo contro gli operai, viene sollevato il questore Giuseppe Amato, divampa la polemica. Il 2 agosto sulle colonne del “Giorno” Giorgio Bocca innesca la penna ricordando quando, da partigiano, faceva lo stesso con il mitra. “L’avvocato Andrea Mitolo – scrive - è una mia vecchia conoscenza: lo facemmo prigioniero ufficiale fascista nel ’45 in una valle del Cuneese. Aveva combattuto assieme ai nazisti fino all’ultimo giorno. L’ordine sarebbe stato di fucilarlo visto che aveva le armi in pugno al momento dell’arresto, ma lo facemmo tornare a casa sua a Bolzano, dove a tavolino si mise a stendere una denuncia alla Magistratura contro di noi per omicidio e strage (in Trentino Alto Adige c’era ancora il regno dell’Alpenverland). C’è da credere che ora stia denunciando gli operai che non hanno risposto alle coltellate con le coltellate dei suoi sgherri perché è un uomo che crede nell’odio”.  Bordate che non sfuggono all’avvocato Sandro Canestrini, oggi bolzanino di 91 anni, impegnato nel processo che seguì presso la corte d’assise trentina. "Convocò Giorgio Bocca tra i testimoni – racconta l’editorialista del giornale “Trentino” Giuseppe Raspadori che seguì da vicino le vicende del 30 luglio ’70 – per mettere chiaramente in luce con la giuria popolare, fasciata di tricolore, la condotta di vita di Mitolo. Poi, purtroppo, non se ne fece nulla perché la corte depennò una lunga lista di testimoni: erano gli anni del soccorso rosso e le convocazioni furono centinaia. Tra i bolzanini, comunque, rammento anche la presenza attiva dell’avvocato Gianni Lanzinger". Per ricordare bene i Mitolo, però, a Bocca non serviva certo lo scranno di un tribunale: l’episodio della denuncia di Andrea, infatti, viene riportata pure a pagina 98 della sua autobiografia “Il Provinciale” pubblicata nel 1991, tempi recenti. Non solo, è lo stesso Raspadori a riportare alla mente un curioso aneddoto. "Qualche anno fa ricordo delle elezioni in cui Pietro Mitolo figurava tra i possibili vincitori. Alzai la cornetta, memore dell’episodio Ignis, e chiamai Giorgio per riferirli questo fatto e lui, con una lucidità impeccabile, mi avvertì di non confondere i due fratelli repubblichini che non esitò a definire “immarcescibili”". Il processo al 30 luglio 1970 si chiude con alcune condanne e il licenziamento di commissario del governo, questore e comandante dei carabinieri: la corda era tesa e la risposta doveva essere dura per evitare nuove rappresaglie da un Msi parecchio infastidito. Oggi, quarantuno anni dopo, la linea di confine è meno netta e gli estremi sono più estremi: forse lassù Mitolo e Bocca troveranno il modo di chiarirsi, a modo loro.
Alan Conti

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