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venerdì 26 aprile 2013

Tra macerie ed erbacce: viaggio nella Bolzano abbandonata

Case, villette, parchi, negozi e uffici: non c’è categoria che si salvi alla sua porzione di Bolzano dimenticata. Il più delle volte nascosta dalle ombre, tra un ciuffo d’erba e una tegola pericolante, fa capolino una città che meriterebbe maggiore onore prima di qualsiasi censimento targato Grillo. Ogni quartiere, volendo, ha il suo piccolo simulacro dell’abbandono. In via Torino, per esempio, da anni, anzi decenni, si staglia tronfio l’antico negozio di scarpe del civico 10: abbandonato da tutti e capace di sfregiare l’architettura di ben due strade. Via Torino da un lato e via Dalmazia sul retro, dove le sue finestre sono ormai lavagna per i writers e gli ultrà oltre che tappeti di ruggine. Al fondo di via Rovigo, invece, ecco una villetta con affaccio sulle Passeggiate e metratura da impallidire: lasciata al suo destino da ere geologiche. Un manufatto che da nuovo potrebbe valere palate di denaro data l’esposizione e la grandezza. All’incrocio tra via Alessandria e via Parma, poi, le erbacce si sono rimangiate quello spiazzo che gli Alpini con i Carabinieri avevano mostrato come si pulisce. Il Comune aveva gonfiato il petto dopo poche settimane ha girato lo sguardo dimenticandosene. Oggi è una prateria buona per qualche sacchetto dell’immondizia gettato a caso. Al capitolo uffici ecco il palazzo che anticamente ospitava la redazione del quotidiano Alto Adige e oggi ospita la polvere e qualche lattina. Al muro un calendario pietrificato al giugno 2002: di fronte un Eurac dove i secondi vengono battuti dagli orologi atomici. Due tempi, due pesi e due misure. La lista, comunque, è solo parziale perché si potrebbero citare anche i palazzi dei Telefoni di stato, gli uffici abbandonati in via Bottai, via Conciapelli o via Macello. Senza dimenticare i cantieri lasciati a metà, scheletrici, di cui Firmian è stato a lungo testimone. Tutto attorno, a corollario, una galassia di negozi che chiudono le serrande e diventano discariche a cielo aperto. Le strade si punteggiano di bidoncini ordinati, ma prima delle vetrine non si può intervenire perché proprietà privata: la burocrazia che piega la pulizia. Chiunque, inoltre, a memoria potrebbe aggiungere questo o quel punto a questa mappa. Onesto ammettere che la responsabilità è spesso dei proprietari, spesso grandi immobiliaristi, che di mettere il decoro comune prima degli affari non ci pensano proprio. Assommando idealmente tutto, però, si arriva a comporre un piccolo rione virtuale dell’abbandono: qui non si tratta di cementificazione o espansione ma di semplice dignità della propria dimensione.

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